#02 SIMONE BENEDETTO

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SIMONE BENEDETTO
20.12.2016 – 04.02.2017

L’opera “Out of Control” invita a ragionare, lasciando molti dubbi insoluti, non consentendo una risposta univoca alla problematica affrontata.
L’opera si può interpretare secondo differenti chiavi di lettura, ma la domanda che nasce spontanea è se l’individuo verrà trascinato a fondo dalla barca o se sarà in grado ti ritirarla a galla.
L’uomo, immortalato nel momento dello sforzo, si fa portavoce di molteplici questioni irrisolte.
Una questione potrebbe essere la tratta dei migranti e le ricorrenti tragedie del mare o, in alternativa, si potrebbe riconoscere in lui qualcuno che tenta di lottare per recuperare una società
che lentamente è destinata alla deriva.
Forse non a caso viene affidato alla scultura, alla concretezza della materia, ilcompito di restituire visivamente lo scollamento, proprio della contemporaneità, tra reale e virtuale, fulcro attorno a cui ruota gran parte della ricerca di Simone Benedetto.
L’intento è di fornire exempla tangibili per dare corpo a ciò che accade ogni giorno, in ogni momento della nostra vita, in relazione al web e alle nuove tecnologie, e proprio per questo destinato a essere da noi ignorato, vittime di una sorta di assuefazione.
La rete e la connessione perenne, se da un lato hanno permesso evoluzionifino a poco tempo fa inimmaginabili nella comunicazione, dall’altro l’hannoresa impropriamente il centro dell’esistenza di ognuno di noi. Nell’illusionefittizia di poter interagire sempre e con chiunque, abbattendo
confini spazio/temporali, perdiamo infatti il reale contatto con chi è a noivicino.
La tendenza a rifugiarsi e ad appartarsi nel web, come evasione alla complessitàdella vita, è una sindrome definita come net-dipendenza, o meglio on-lineaddiction, ormai riconosciuta a livello psichiatrico dal 1995: il solipsismo telematico induce in modo ossessivo-compulsivo a eleggere la rete come luogo di rifugio, creando o accentuandoinevitabilmente difficoltà comunicativorelazionali a livello sociale.
Together Alone ci pone di fronte a una solitudine al plurale.
Se una volta erano la televisione o i videogames, oggi a esser l’oggetto del desiderio di un qualsiasi bambino è lo smartphone, diventato per chiunque una irrinunciabile e onnipresente appendice. Ansiolitico multimediale, che riduce la solitudine mantenendo continuamente presente anche ciò che è assente, relegasempre di più su un piano virtuale i rapporti interpersonali, rendendo superflua l’interazione fisica e reale tra individui.
Traslitterazione del limaccioso pantano tecnologico da cui siamo fagocitati è lo schermo semiliquefatto di uno smartphone extrasize, da cui tentano la fuga,con disperato e inutile sforzo,umane figure stravolte dal terrore.
Un bambino visto di schiena, zainetto sulle spalle e grembiulino, con un peluche che penzola dalle mani sembra avviarsi tranquillamente a scuola come ogni giorno.
A ben guardare però avvicinandosi e girandoci attorno, il bambino in questionenon indossa nessun grembiule ma una camicia militare, veste anfibi e stretto asé tiene un mitra.
Lo sguardo è vacuo, assente.
You must do it il titolo dell’opera, allude al differente imperativo checontraddistingue bambini di provenienze geografiche diverse.
Se nella società occidentale la norma si identifica nel dover andare a scuola,altrove l’obbligo risulta essere infatti quello di combattere e rischiare la vita.
Materializzando tramite la scultura problematiche a noi troppo lontane, o rendendone evidenti altre in cui, per assurdo, siamo troppo immersi.
La rappresentazione dell’infanzia non è soltanto legata alla denuncia e alla critica di ciò che nella società attuale impedisce ai bambini di vivere serenamente la loro età; vi è anche spazio per uno sguardo positivo, di speranza. Nell’opera Eos entra in scena la potenza dell’immaginazione dei bambini, la capacità di reagire al mondo esterno creando un proprio mondofantastico. Nell’epoca dell’iper-realtà, in cui il virtuale è talmente concretoda togliere ogni spazio alla fantasia vediamo una bambina dare vita come in un sogno a un mondo alternativo soltanto con la forza della propria mente. In piedi, con un oggetto illogico e strabiliante tra le mani e negli occhi lo stupore e l’incanto.

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