#10 REBECCA DE MARCHI

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REBECCA DE MARCHI
“Ecumene Adele. Esercizi per abitare il mondo”
28.09.2018 – 27.10.2018

Testo a cura di Francesca Comisso

Nell’epoca in cui i confini tra paesi sono scomparsi per la circolazione delle merci e si sono innalzati di fronte alla massa pressante dei corpi migranti, quando l’azione dell’uomo ha provocato cambiamenti in grado di incidere profondamente sul clima e le risorse della Terra, parlare della Terra come ecumene, “casa in cui tutti abitiamo”, suona come un antidoto. La sua efficacia risiede in ciò che già sappiamo, una conoscenza che, con il filosofo Michel Serres, Rebecca De Marchi definisce “adele”, forma di sapere sommerso, rizomatico, che si diffonde in modo “laterale” e conserva della sua origine araba l’inclinazione etica di  “comportamento giusto”.  
Con questo titolo l’artista ha dato esito, in forme diverse, a una pratica artistica e progettuale alimentata dall’attivismo, che la vede impegnata da anni su alcuni dei temi  di maggiore urgenza nella nostra contemporaneità, quali le migrazioni, l’ambiente, il lavoro. Di formazione architetto, ha riversato nell’arte una forte attitudine progettuale e la capacità di rendere poetici e vitali il rigore analitico e l’estrema economia di segni che contraddistinguono i suoi progetti, siano essi disegni, installazioni, fotografie, video. 
Negli spazi della galleria, il progetto Ecumene Adele prende forma nell’azione di quattro persone, due uomini e due donne di continenti diversi, che su una grande mappa distesa su un tavolo cancellano tutti i confini politici, lasciando affiorare sulla carta solo il profilo delle terre emerse.
La cancellazione, orchestrata come un rito, assume così il valore di un atto fondativo, dove la negazione non si limita a un gesto di opposizione ma coincide con un’azione produttiva, che genera infatti uno scarto, letterale e simbolico. Ciò che viene cancellato, misto di gomma e carta, di confini e di tutto il peso storico e umano della loro elevazione e superamento, non sparisce come per incanto, ma permane e viene custodito, trovando posto nello spazio come se fosse il pegno per un altare domestico. Mantenere viva la memoria di ciò che si è combattuto, del negativo dell’immagine che assumono nel tempo le nostre storie, richiede un atto di volontà, poiché non è automatico. Come molti artisti di questi anni, Rebecca De Marchi fa ricorso alla dimensione del rito per dare forma a un’azione dal valore politico ed educativo, in grado di attivare un percorso a ritroso che dal gesto incida sul pensiero e sulle parole.
Nello spazio espositivo, la memoria delle azioni compiute si affianca al loro esito nella grande mappa senza confini, terra libera perché liberata, ecumene “riconquistata” dal gesto fecondativo di due coppie, che riporta alla mente la grande carta su cui Alighiero Boetti aveva invitato a intervenire un uomo e una donna, per Mettere al mondo il mondo (1972). Un gesto che anche Rebecca affida alle mani d’altri e al loro fare insieme. 
E se mappa in origine significava tovaglia, il tavolo cui essa rimanda ricorda il luogo della condivisione e della negoziazione, la superficie che distanzia e insieme unisce, come condizione imprescindibile della nostra esistenza e del suo manifestarsi nell’abitare il mondo.

 

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