#13 GERMAIN ORTOLANI

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GERMAIN ORTOLANI
27.09.2019 – 26.10.2019

Testo a cura di Cecilia Paccagnella

In occasione dell’inaugurazione della nuova stagione presso la galleria davidepaludetto | artecontemporanea, Germain Ortolani debutta singolarmente nello spazio della project-room, con un progetto che coinvolge tutto lo spazio, sia all’interno che all’esterno, e dunque al contempo sia la dimensione privata sia quella pubblica. 
In un primo momento lo spettatore è invitato a rapportarsi con l’opera a partire dal lato della sala che dà sulla strada, dove entra in contatto con un effetto di vedo-non vedo, in quanto le due vetrine preesistenti sono rivestite e annullate dall’artista francese, il quale le utilizza al fine di (ri)creare delle feritoie, unico punto attraverso cui chi guarda può “spiare” ciò che sta accadendo all’interno. Questo distacco netto tra l’interno e l’esterno è reso più dinamico dalla seconda finestra sul medesimo lato, poiché Germain permette allo spettatore di “entrare” per meno di un metro dentro all’effettivo spazio fisico della stanza, rimanendo però relegato in una condizione estranea a ciò che c’è oltre queste fessure. Questo primo approccio all’opera è rivelatore in un duplice modo: da un lato, svela la dialettica che si instaura tra la curiosità del singolo, che è attratto dall’impossibilità di vedere appieno ciò che queste feritoie nascondono, e il significato intrinseco delle stesse, rimandando all’idea di confine; dall’altro, l’opera sembra mettere in atto su ampia scala il ricorrente equilibrio instabile che c’è tra la sfera pubblica e quella privata. 
Una volta entrati in galleria è possibile avere accesso all’altro lato della medaglia, ovvero conquistare fisicamente quel territorio che prima ci veniva offerto solo visivamente. Da questa parte dell’installazione, infatti, lo spettatore diventa anch’egli in un certo senso l’oggetto irraggiungibile che viene spiato da fuori, passando dunque da voyeur a personaggio attivo. 
All’interno di questo spazio privato, Germain costruisce due moduli che esprimono appieno la sua volontà di riflettere sui punti di convergenza che esistono tra entità apparentemente distinte: la guerra, la progettazione urbanistica e i giochi d’infanzia. Questi tre ambiti vengono in questa sede ridotti ai minimi termini attraverso dei simboli e portati a confrontarsi per constatare il fatto che in realtà condividono alcuni punti chiave e forme ripetitive. Il cassero che divide potenzialmente la stanza in due in altezza, è il modulo chiave nella comprensione di questo meccanismo di rimandi, in quanto è esemplare sia per la costruzione di modellini geografici urbani essenziali nell’elaborazione progettuale edile, sia nell’analisi delle strategie belliche da attuare, ma il primo pensiero che sorge spontaneo rimanda ai castelli di sabbia che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo fatto al mare. Inoltre, i materiali utilizzati dall’artista sono gli stessi necessari nella costruzione effettiva di un edificio, come il cassero (cassa-forma per colare il cemento), il legno giallo da armatura, e la sabbia (elemento costitutivo del cemento), ma la materia prima, ovvero il cemento stesso, non è fisicamente presente, ma viene solo evocato attraverso un gioco di rimandi. In questo modo, Germain vuole sottolineare il fatto che tutta questa “macchina” preliminare in realtà non è altro che un’opera architettonica in se stessa, dando dunque anche agli elementi e ai passaggi embrionali un ruolo che in realtà non è giusto considerare secondario. Allo stesso modo le scale che portano in alto e in basso non sono funzionali al percorso espositivo, ma esistono e devono essere considerate in quanto tali, e non pensate in quanto inutili. L’ultimo elemento è una copia del pilastro al centro della stanza, dislocata al fine di permettere di immaginare un’altra ipotetica stanza a partire da quel nuovo pilastro. Questa architettura in movimento che ricorre nel lavoro di Germain, ha le proprie radici nel pensiero di Yona Friedman, il quale aveva coniato il termine architettura mobile, ovvero una disciplina e una modalità costruttiva basata sull’idea che tutto cambia in funzione dello spazio che lo circonda. 

 

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