#07 DANIELE ACCOSSATO
DANIELE ACCOSSATO
09.03.2018 – 28.04.2018
Testo di Francesca Canfora
Citazione colta unita a spirito irriverente e ironico sono le costanti sempre in gioco nella ricerca scultorea di Daniele Accossato.
È un cambio di prospettiva, una mutazione di contesto e di punti di riferimento a coinvolgere e sconvolgere i soggetti delle sue opere. Rimosse a forza dai loro piedistalli, statue e sculture di ispirazione classica vengono letteralmente rapite e costrette in casse pronte al trasporto: l’espressione dipinta in volto è di terrore, tra il caricaturale e il tragicomico, in palese contraddizione con la loro proverbiale compostezza e austerità.
Le profane mise en piece se da un lato sottolineano l’importanza del passato e della storia dell’arte, in qualità di sapere, bagaglio culturale e perizia tecnica, dall’altro rappresentano l’azione sacrilega spesso esercitata dalla contemporaneità verso i valori antichi, come il fare a regola d’arte e i canoni del bello.
Ma questo in realtà è solamente un primo livello di lettura, che cela altri discorsi e intenti, andando oltre una semplice volontà dissacrante.
I soggetti di natura archetipica raffigurano da sempre sentimenti, debolezze e virtù ma in modo ideale e astratto, privo di qualsiasi tipo di espressione emotiva.
L’azione ironica del rapimento restituisce alle impassibili statue realtà e umanità, rendendole inaspettatamente vive.
Lontane da basamenti e piedistalli, strumenti di elevazione e isolamento, le sculture sono costrette a un rapporto più intimo e diretto con il fruitore e a scendere letteralmente nell’agone della vita.
Nel reinterpretare i più famosi guerrieri giunti sino a noi dall’antichità, Daniele Accossato forgia un inedito Bronzo di Riace. Legato e rinchiuso in una cassa, l’eroe esemplare, audace e ieratico, improvvisamente si ritrova prigioniero vulnerabile e indifeso, mantenendo, nonostante il fato avverso, un’innegabile fierezza quanto una toccante umiltà.
E così il Leone di Nemea, allegoria di forza, potere e protezione, nello stesso identico modo si ritrova in trappola e avvinto da funi, ritratto in uno scomposto e indomito gesto di ribellione, mentre disperatamente lotta per la libertà.
Orfane parti di sculture di inestimabile valore, la testa di Apollo come una della ali della Nike di Samotracia sono gelosamente custodite in gabbie da trasporto come preziose reliquie.
Questi iconici frammenti, simboli di un patrimonio storico e culturale, accuratamente protetti e imballati, sono in realtà ridotti a macroscopici souvenir, semplici elementi decorativi acquistabili da chiunque, vittime della logica consumistica della larga distribuzione.
L’ultima gabbia lignea racchiude ancora un curioso reperto, un indice di dimensioni ciclopiche che incredibilmente corrisponde a una della parti mancanti della contemporanea L.O.V.E., monumentale scultura di Maurizio Cattelan priva di tutte le dita, eccezion fatta per il medio.
Al pari della testa di Apollo o dell’ala della Nike, l’indice solitario, come se fosse stato trafugato e rimosso dal contesto originario, assurge a opera d’arte autonoma, pronta a conquistare il mercato e ad acquisire valore in virtù della sua singolare storia.
Pluriball, corde, casse da trasporto e pallet, ovvero il materiale da imballaggio utilizzato nelle varie sculture, entrano così di volta in volta a far parte integrante di ogni installazione, ribaltando il discorso ancora su un altro fronte.
Stoccate, confezionate e imballate, pronte per la consegna e trattate alla stregua di banale merce, le opere di Accossato diventano metafora del difficile e mai risolto legame tra arte e mercato, un rapporto neccessario che spesso rischia di compromettere, o peggio condizionare, in modo rilevante la libertà espressiva dell’artista.